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Il Blog di Marco Zulberti

L'errore del Wall Street Journal sull'Italia. Dal Blog di Marco Zulberti

WSJ

Il dato di crescita del prodotto interno lordo italiano rimasto invariato e fermo allo 0.7% rispetto allo scorso hanno conferma le previsioni più pessimistiche sulla congiuntura economica italiana che dopo anni di crisi non riesce a impostare una situazione fiscale espansiva favorevole agli investimenti dei capitali privati in economia.
Su questo dato negativo si sono scagliate le osservazioni, non solo dell'opposizione interna di centro-destra, a cui andrebbero imputate comunque molte delle inefficienze attuali, ma anche le voci autorevoli di grandi testate giornalistiche come «El Pais», «Le Monde», il «Financial Times» e il «Wall Street Journal» e l'Huffington Post.
Tutti stanno identificando nell'economia italiana il grande freno per la ripresa della stessa economia europea e chiedendo al premier Matteo Renzi svolte più o meno drastiche nella gestione delle politiche economiche e fiscali italiane. Non sono chiamati in causa solo il primo ministro Renzi o il ministro dell'economia Pier Paolo Padoan ma anche il neo ministro dello sviluppo economico Calenda e quello delle infrastrutture Del Rio.
Cosa può fare il governo per uscire da quest'impasse in cui è caduta l'economia italiana? Dove sono finiti i risultati a due cifre dell'export, l'aumento dell'occupazione in questo quadro di stasi dell'economia italiana che si sta trasformando in una statua di sale?
Di fronte a questa serie d' autorevoli osservazioni si deve sollevare però qualche dubbio. Le ricette suggerite peccano tutte di superficialità e scarsa conoscenza della situazione italiana. Non conoscono la realtà di uno stato che è rimasto centralista quando nel 2001 doveva diventare federale e che ora rischia di tornare centralista.
Appare questa la sostanza delle richieste di giornali come il Financial Times che indirizza Renzi verso un impossibile, quanto poco analizzato, taglio delle tasse che non si può attuare senza agire in profondità sull'occupazione e sulle commesse statali, e di conseguenza di un'ancora più profondo rallentamento economico. Se non si comprende questo circolo vizioso dell'economia italiana non si riesce a trovare la soluzione. Un circolo che va interrotto troncandolo di netto e non alimentando ancora la spesa pubblica.
Ma anche l'esagerata fiducia da parte del Wall Street Journal nel referendum sulla costituzione italiana, elevato a valore di una Brexit. Abbiamo già visto come è finita con le altre ricette che sono arrivare da fuori: la prima con il referendum sulla contingenza nel 1984 che sganciando l'inflazione dai redditi, ha permesso ai politici tra il 1985 e il 1991 di accumulare l'enorme debito che ha portato alla crisi della lira nel 1992, e poi le ricette sulle privatizzazioni del 1994 apprese nel famoso viaggio dai politici italiani sul Britannia che hanno creato gli oligopoli nei servizi pubblici, favorendo la chiusura di quasi l'intera filiera manifatturiere italiana.
Sulla scia di quella ricetta liberista anglosassone le grandi famiglie italiane si sono orientate ai telefoni, al gas, all'energia, alle immondizie esternalizzando le produzioni industriali. Questo ha creato delle nicchie di ricchezza, le famiglie che compaiono sulle copertine delle riviste e dei giornali che ammiriamo come i campioni economici italiani, ma impoverito il reddito della classe media in modo drastico e favorendo il crollo dei consumi interni.
Se oggi l'Italia è in questa crisi profonda e per l'aver applicato troppo le ricette esterne senza riflettere su come si favorisce l'accumulo della ricchezza attraverso una corretta gestione dei singoli settori economici in cui quello dei servizi gioca un ruolo fondamentale mentre in Italia è diventato un oligopolio che stritola l'economia, sottraendo ricchezza e reddito.
Pertanto è inutile che i giornali stranieri, soprattutto il Wall Street Journal, continuino a consigliare ricette come quella della riforma costituzionale (tra l'altro l'Inghilterra ne è priva e quella americana ha solo dieci punti e molto criticati anch'essi) cercando di comprendere l'Italia osservandola dal sud invece che dalle Alpi comprendendone tutte le articolazioni regionali; sono cento realtà molto diverse, che dovrebbero diventare federali come quelle tedesche.
Invece questa riforma ripristina un centralismo che condurrà l'Italia verso il medioevo delle corporazioni e delle elitè politiche. Per cui respingiamo questi consigli visti anche i drammatici errori generati dalle politiche medio orientali di questi paesi che hanno preferito alleanze che le componenti religiose più ricche che non con quelle laiche e sciite più povere.
Cosa deve fare allora il governo? Avviare una forte autocritica sulle decisioni prese nell'aprile del 2014 con la politica dei bonus e sull'occupazione e cercare di ri-armonizzare la tassazione dei capitali fermi e degli investimenti.
E' indubbio che il rapporto sfavorevole tra tassazione e rischio degli investimenti freni quelli nuovi e favorisca la formazione di capitali parassitari fermi sui titoli di stato mentre v'è necessità di capitali nel settore produttivo. Continuare a far finta di niente e che il paese cambierà grazie al ritorno di fiducia alimentata dai mass media e dal "Sì" alla riforma costituzionale, vuol dire affidarsi ancora una volta alla scommessa. A questo punto l'impressione è che il paese stia diventando ludopatico, un luna park, come quello che Collodi aveva descritto per il suo Pinocchio.