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Il camoscio bianco della Valsorda. Ricordi preziosi di Ennio Lappi

ennio lappi camoscio bianco 1
I camosci albini sono caratterizzati dall'assenza totale delle "melanine", che sono i pigmenti che determinano la colorazione della pelle, dei peli e dell'iride dell'occhio. Se i pigmenti sono tuttavia presenti, ma il loro livello è basso per l'insufficiente produzione di melanine, l'individuo è detto albinoide e qui i casi sono decisamente in numero maggiore. È noto che l'albinismo ha origini ereditarie, ma non per questo i figli dell'individuo albino debbono essere necessariamente albini, né peraltro è certo che i suoi genitori lo siano stati, è un caso di "eredità autosomica recessiva" che comunque accerta e dimostra la presenza in antico di altri individui affetti da albinismo e che in quella zona in periodi successivi si verificheranno certamente ulteriori casi. In Italia, individui completamente albini sono stati accertati in epoca relativamente recente in Piemonte, in Val d'Aosta e in Trentino.

Nell'estate del 1968 nell'alta Valsavarenche presso il Colle del Nivolet, al confine tra la Valle d'Aosta e il Piemonte, fu notata per la prima volta una bella femmina totalmente albina che visse per diversi anni, certamente più di sette, perfettamente integrata nel suo branco tanto da dare alla luce diversi piccoli completamente normali. Il magnifico animale attirò l'attenzione di esperti e curiosi e di questo esistono molte belle immagini usate anche per pubblicizzare la zona. Dopo l'inverno del 1974 non fu più avvistata e anche le minuziose ricerche effettuate si rivelarono infruttuose; se morì per morte naturale o per mano di bracconieri non fu possibile accertarlo e il mancato ritrovamento dei suoi resti fece nascere più di un sospetto. Un altro caso fu registrato intorno al 2010 con l'avvistamento di un esemplare maschio completamente albino sui contrafforti rocciosi sopra gli abitati di Pestarena e Stabioli nel comune di Macugnaga in Valle Anzasca in Piemonte ma, nel novembre del 2013 fu abbattuto, in maniera del tutto regolare, da un cacciatore del posto.

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Portato per i necessari controlli al centro faunistico di Prata di Vogogna nella vicina Val d'Ossola, l'animale fu poi venduto a privati che lo imbalsamarono. Recentemente, secondo la rivista elvetica "Blick", solo due camosci albini sono accertati sulle montagne della Svizzera uno dei quali vive da anni nella zona del monte Calanda al confine tra i cantoni di San Gallo e Grigioni. Un altro camoscio albino è stato ucciso nel 2012 nell'Alto Vallese, mentre ad Ilanz nei Grigioni, nel settembre dello scorso anno, un giovane cacciatore ventenne si è attirato le ire di tutta la Svizzera per aver ucciso un camoscio albino che fu in seguito acquistato dal Museo di Storia Naturale di Coira dove, affidato alle cure dei tassidermisti, fa ora bella mostra di sé in quelle sale. In Trentino un esemplare albino fu avvistato, ma una sola volta negli anni Sessanta del secolo scorso, sulle "Bénole", nei contrafforti occidentali del Castello dei Camosci in Val d'Algone, mentre un altro bellissimo esemplare, sempre completamente bianco, alla fine degli anni Ottanta fu ripetutamente visto pascolare in Paganella nella zona sopra Fai e questo nel periodo di due anni, poi più nessuna segnalazione. Che fine avranno fatto non è dato saperlo, cause naturali o bracconieri? In molti sono convinti che l'albinismo sia una malformazione congenita che limita la durata della vita, peraltro smentita dal caso della camoscia della Valsavarenche, ma il caso del bracconaggio sembra prevalere. Ora veniamo al camoscio ritratto nella bellissima e rarissima fotografia pervenutaci dalla cortesia di Giorgio e Alberto Lambertini.

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Si tratta di un giovane esemplare maschio di circa 2 anni ucciso nel 1934 da due cacciatori di Verdesina, frazione di Porte di Rendena (TN). Domenico Viviani "Poinel" ed un suo parente Attilio Viviani "Mariano" lo avevano più volte adocchiato mentre pascolava sotto il "Doss de le Galine" in Valsorda e lo avevano aspettato pazientemente al varco. Un mattino, ai primi di novembre, dopo aver pernottato al "Bait del Delfo" che loro stessi avevano costruito aiutando Delfo Viviani, il facoltoso possidente che lo aveva ideato quale rifugio per la caccia, prima dell'alba si erano appostati nei pressi della vecchia malga Valsorda. La fortuna volle che, appena fatto giorno, avvistassero un nutrito gruppo di camosci nel quale spiccava il mantello di un giovane esemplare del tutto albino; l'occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare ed inoltre i due erano bravi cacciatori tanto che misero in carniere, oltre al rarissimo animale, anche altri due splendidi camosci. Il fatto creò notevole scalpore in valle e non mancò, certo fra i più invidiosi, chi rispolverò la leggendaria maledizione del camoscio bianco secondo la quale chi si fosse macchiato di tale "efferatezza" non sarebbe vissuto a lungo. È noto infatti che sull'abbattimento di questi animali negli anni sono fiorite molte tragiche leggende. Si narra che sulle balze del "Como Grosso", in Val d'Otro, un camoscio albino maschio di taglia superiore alla media fosse ferito da un bracconiere che mentre lo inseguiva cadde in un profondo dirupo trovandovi la morte. Un secondo episodio, accaduto all'inizio della seconda guerra mondiale, narra di due giovani bracconieri di Gressoney che, appostati fra le rocce della "Malfatta", spararono ad un camoscio dal mantello completamente bianco; i due ragazzi morirono sul fronte francese nei primi mesi di guerra. Il terzo episodio è sempre legato all'alta Valsesia; un cacciatore sparò ad un camoscio bianco nei pressi del rifugio Guglielmina ferendolo, ma senza abbatterlo, qualche anno dopo l'uomo morì cadendo in un crepaccio del ghiacciaio durante un'azione di soccorso. Tutto questo senza contare il fatto più eclatante, quello dell'arciduca Francesco Ferdinando d'AsburgoEste erede al trono d'Austria-Ungheria che nell'estate del 1913 sui monti salisburghesi aveva ucciso un camoscio bianco; l'anno seguente venne assassinato a Sarajevo. Infine, tornando ai nostri cacciatori di Verdesina è comunque accertato che fortunatamente la maledizione non si manifestò dal momento che l'autore della cattura, Attilio Viviani classe 1905, morì a Verdesina nel febbraio del 1969.