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In memoria di Fra Silvio Bottes. Ricordi preziosi di Ennio Lappi

 Fra Silvio Bottes 2 1

Ho conosciuto fra Silvio qualche anno fa quando, collaborando con p. Remo Stenico per il libro del Convento delle Grazie di Arco, venni a sapere che l'autore del magnifico portale della chiesa e della statua di S. Francesco nel piazzale a settentrione erano opere di fra Silvio Bottes, francescano dello stesso convento. Ammirato, mi volli informare meglio e appresi che l'artista, ormai vecchio e malato, si trovava a Trento nell'infermeria del convento di S. Bernardino. Questo mi meravigliò perché da anni frequentavo quel convento e la sua biblioteca e ormai conoscevo bene anche i frati, ma p. Remo mi disse che fra Silvio stava quasi sempre nella sua stanza all'infermeria e usciva di rado. Allora mi decisi a fargli visita e lo incontrai per la prima volta in un bel mattino di primavera. Stava in piedi sul balcone della sua stanza che offriva una splendida vista sulla città e sbriciolava un pezzo di pane per gli uccellini che gli venivano a beccare quasi in mano. Timore di disturbare e reverenza sparirono subito quando con un grande sorriso mi invitò a sedere sul letto mentre lui prendeva posto sulla sua poltrona. Fu così che iniziai a salire con frequenza all'infermeria intrattenendomi con lui per lunghe chiacchierate; si parlava del più e del meno, ma io cercavo sempre di intavolare il discorso sulle vicissitudini della sua lunga vita e lui non si faceva di certo pregare, lieto di poter dar luce ai propri ricordi. Tralascerò i fatti salienti della sua biografia e le citazioni delle moltissime opere realizzate, dato che in molti ne hanno scritto, specie dopo la sua morte. Lui era molto schivo e forse per questo, quando era in attività, non aveva avuto il giusto riconoscimento; lavorava instancabilmente chiuso nel suo laboratorio alle Grazie e questo lo appagava oltremodo; quando c'èra qualcosa da fare per il convento, riparazioni, modifiche, opere murarie, allestimenti, era sempre lui che se ne prendeva carico anche dirigendo con grande competenza i lavori delle ditte esterne. Il complesso monastico era molto antico, contava circa mezzo millennio d'anni, e, nonostante le continue cure dei frati, aveva bisogno di frequenti riparazioni ed ammodernamenti, in primo luogo l'acquedotto e la centralina idroelettrica affidati alla cura di fra Silvio che, oltre alla sorveglianza per il buon funzionamento, aveva anche il compito di commutare l'alimentazione elettrica nelle parti del convento che ne avevano bisogno. Infatti il generatore a turbina, installato ancora nel primo decennio del '900, generava meno di 4 Kw di potenza, diventati nel tempo nettamente insufficienti alla bisogna, e così fra Silvio negli orari serali stabiliti, dava corrente alle lampade del coro e della chiesa e, quando preghiere e funzioni erano terminate, deviava l'elettricità sull'altra parte del convento.

Fra Silvio parlava volentieri della sua gioventù quando a Brusino, già dalla prima giovinezza, aveva manifestato una chiara predisposizione per il disegno tanto che era molto spesso chiamato dai maestri a disegnare alla lavagna i concetti delle lezioni. L'abilità nelle arti figurative fu presto notata e segnalata alla famiglia, ma di soldi per far studiare il ragazzo non ce n'erano e così, seguendo il consiglio del parroco, già a quattordici anni Silvio era a Torino alla Scuola d'Arte del Conte Rebaudengo gestita dai Salesiani. Qui ai giovani, tutti provenienti da famiglie di modeste condizioni economiche era insegnato un mestiere secondo le singole attitudini e nel contempo si favoriva la disposizione ad una futura vita religiosa. L'incontro con il conte Eugenio Rebaudengo, senatore del Regno, cooperatore salesiano e grande ammiratore delle opere di Don Bosco, fu basilare per la vita del giovane dal momento che al nobile non sfuggirono le sue non comuni capacità creative.

Inizialmente Silvio incominciò ad intagliare artisticamente il legno degli stipiti delle porte dell'istituto e quindi gli altari e gli arredi della chiesa, in tal modo gli veniva riconosciuta la retta per vitto, alloggio e studi. Rimase a Torino per tre anni e furono anni felici perché gli era consentito di coltivare la sua passione per la scultura senza gravare sulla famiglia; le estati le passava con i condiscepoli alla casa che il conte Rebaudengo possedeva a Breuil in Valle d'Aosta e i suoi occhi brillavano quando ricordava le salite sulle ripide rocce del Cervino fino alla croce posta nel punto dove morì il grande Jean Antoine Carrel e dove non mancava di posare alcune stelle alpine accompagnate da una preghiera.
Nel 1939, maturata la vocazione, approdò alle Grazie di Arco dove prese i voti; per sua stessa ammissione la vita monastica fu intrapresa certamente per scelta di vita, ma soprattutto per poter dare sfogo al suo talento artistico : "Non mi interessava diventare un sacerdote e questo lo misi subito in chiaro con i superiori, volevo solo lavorare assecondando la mia predisposizione alla scultura per il beneficio del convento, dell'Ordine Francescano e dei miei confratelli". Alle Grazie lavorò intensamente fino alle soglie del Duemila producendo una lunghissima serie di opere straordinarie, nemmeno lui sapeva dire quante fossero, non ne aveva mai tenuto il conto. Parlava volentieri anche del periodo trascorso a Milano tra il 1949 e il 1951 quando frequentò la Scuola Superiore d'Arte Cristiana "Beato Angelico" dove conobbe Francesco Messina e Giacomo Manzù. Soprattutto di quest'ultimo mi raccontò del fatto che per caso gli si era trovato vicino al concorso per la porta del Duomo di Milano; "Ero molto intimidito dalla presenza accanto a me di uno scultore famoso e il mio lavoro, all'esposizione, fu giudicato molto favorevolmente, ma comunque vinse lui"; però, il sorriso malizioso che spuntò sul suo viso, assieme ad un guizzo di luce negli occhi rivelò chiaramente quello che pensava.
Divenne veramente un grande artista il modesto francescano da Brusino e la sua valentia veniva espressa principalmente nei visi delle sue sculture, visi che sembravano fotografati nell'esatta espressione dei loro sentimenti in quel momento e che ancor oggi meravigliano ed emozionano l'osservatore.
In una cosa indulgeva, gli piaceva andare a caccia ed era anche una buona doppietta, assecondato da numerosi amici del luogo. In questo non era certo ligio agli insegnamenti di S. Francesco, ma quando tornava in convento con il carniere pieno era sempre una festa, sia per i confratelli, la dieta dei quali non era certo luculliana, sia per i numerosi poveri che per sopravvivere si accostavano alla mensa dei frati. In questo che lui stesso definiva "vizio" era imitato da don Luciano Carnessali, che per anni fu suo allievo, tanto alle Grazie, quanto nella canonica di Seo di Stenico dove era curato ed aveva il proprio laboratorio di scultura e pittura. Fra Silvio fu certo buon Mentore per don Luciano che lo ospitava frequentemente per proficue battute di caccia sul Valandro conseguenti alle lunghe ore di lavoro-insegnamento dalle quali l'allievo apprese e mise a frutto i segreti dell'arte, anche se non si può dire che raggiunse il livello del maestro.

Coce Carrel 1

Santa Croce 2 

moleta 2

Tralasciando ora le sue moltissime opere, si dice circa 500, vorrei mettere i luce quelle che si trovano nelle Giudicarie che sono ormai considerate un simbolo dei luoghi nei quali sono poste, mi riferisco alle pregevolissime statue che si trovano a S. Croce del Bleggio, a Pinzolo e a Madonna di Campiglio. Nel 1963 fra Silvio scolpì e realizzò in bronzo le statue che riportarono a nuova vita il vecchio monumento di S. Croce, realizzato esattamente cento anni prima nel 1863 dal comasco Giuseppe Valsecchi su progetto di Pietro Parolari; sono quattro grandi statue alla base della scalinata, raffiguranti s. Andrea apostolo, Costantino imperatore, S. Elena imperatrice, madre di Costantino, e s. Silvestro papa; otto di misura inferiore sul piedistallo, raffiguranti s. Vigilio, patrono diocesano, i santi Dionigi, Rustico ed Eleuterio, patroni della parrocchia di Santa Croce, santa Giustina, patrona della parrocchia di Balbido, i santi Antonio abate e Rocco, per la parrocchia di Quadra, Maria Annunziata, compatrona della parrocchia di Rango, i santi Gioacchino e Anna con Maria bambina, simboli della famiglia cristiana, i santi Faustino e Giovita, patroni della parrocchia di Cavrasto e i santi Pietro e Paolo, patroni della parrocchia di Cares; oltre a tutti questi, fra Silvio scolpì altre quattro altre piccole statue raffiguranti i cori angelici posizionate sul tronco di colonna alla base della croce stessa.
Nel 1969 fra Silvio, su idea di Carlo Antoniolli un ex emigrato che aveva trascorso molti anni in America a fare l'arrotino, scolpì "el Moleta" il monumento posto all'entrata di Pinzolo, oggi considerato il vero simbolo del paese. Trascorsi quasi quarant'anni, fino ad oggi pochi ricordavano l'autore di questa splendida opera, né che fosse ancora in vita fino a poco tempo fa.

A Madonna di Campiglio infine, i turisti sostano ammirati alla vista del monumento alle guide che l'infaticabile frate realizzò nel 1974, ponendo su un imponente blocco di granito la figura della guida alpina capocordata, nell'atto di raggiungere la vetta trascinando a sé il proprio cliente.

Guide Campiglio 1

Ora fra Silvio se ne è andato, piano piano senza disturbare, due giorni prima, al termine della s. Messa, avevamo bevuto assieme mezzo bicchiere di vino e mi aveva salutato con il suo solito sorriso e il suo solito "Addio". Addio, grande amico, riposa in pace.

Ennio Lappi