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La grande vetreria di Tione. Alberto Folgheraiter, conversa con Ennio Lappi. Stralcio della trasmissione del 2009 dai microfoni della Rai di Trento

La vetreria di Tione nel 1880 Foto GB Unterveger

AF: E veniamo all'ultimo stabilimento vetrario in Trentino cioè la vetreria di Tione, che fu anche il maggiore, non è vero?

EL: Si è così, nel luglio del 1842, due mesi dopo l'autorizzazione alla costruzione della nuova vetreria in Algone concessa all'ing. Tremontani, apparve in Giudicarie Giuseppe Venini di Milano, ingegnere e mandatario di un'importante industria vetraria insediata a Varenna sul Lago di Como. Questi, accertata l'esistenza in zona di tutte le condizioni necessarie al buon funzionamento di un grosso insediamento industriale, presentò domanda per ottenere il politico permesso di erigere una fabbrica per la produzione di oggetti in vetro nel distretto di Tione.
Il luogo prescelto si trovava a meno di un miglio dal capoluogo, nel punto dove il torrente Arnò confluiva nel Sarca, e si adattava magnificamente allo scopo. Il fiume forniva acqua sufficiente per dare energia alle ruote di mulini e rassiche, ma soprattutto, anche se per pochi mesi l'anno, garantiva una portata bastante a consentire la fluitazione del combustibile che si doveva tagliare ben lontano. Inoltre, cosa di non poco conto, la nuova strada commerciale, in via di ultimazione, passava proprio di là ed assicurava buone possibilità di trasporti per lo smercio dei prodotti e per l'approvvigionamento delle materie prime.
Nonostante l'opposizione delle vetrerie di Algone e Carisolo, delle fonderie Glisenti, dei panificatori, dei carbonai e di altre ditte operanti nel settore forestale che temevano di non avere abbastanza combustibile per le loro attività, le autorità concessero la prescritta autorizzazione alla costruzione della fabbrica.
Superati così gli ostacoli burocratici, nell'estate del 1844 si dette inizio all'acquisizione dei terreni al Basso Arnò, poi si realizzarono le opere murarie costruendo il grande corpo centrale contenente i forni ed un vasto casamento per dare alloggio alle maestranze che, almeno per quanto riguardava i maestri soffiatori e i loro assistenti, erano quasi tutti, provenienti da Varenna o da Porlezza sul Lago di Como e quindi conterranei del Venini. Contemporaneamente si costruì una rassica e un mulino a pille per la frantumazione dei materiali con le necessarie canalizzazioni d'acqua per il loro funzionamento.
Il poderoso stabilimento fu portato a termine in breve tempo e, immediatamente, fu avviata una buona produzione di lastre, bottiglie e altri oggetti di vetreria.

Giuseppe Venini

AF: Dove si prendeva il quarzo per le lavorazioni ed il combustibile per i forni?

EL: Il quarzo necessario alle lavorazioni era scavato in Val di Borzago, nella cava dismessa dalla ditta di Carisolo, ed era usato per il cristallo delle lavorazioni più pregiate come le grandi campane di vetro rinomate in tutta Europa, mentre per le bottiglie di vetro e le stoviglie di minor pregio si usava la sabbia silicea del greto del Sarca e per le lastre da finestra, il feldspato ortoclasio di S. Giovanni a Giustino.
La legna per le fornaci si tagliava in Val di Genova nel versante occidentale del Brenta, vale a dire Spinale, Val Brenta e Val d'Agola. Gli alberi, tagliati e sfrondati, venivano ridotti in tronchetti che venivano fluitati sulla Sarca approfittando delle morbide di inizio estate ed erano raccolti per mezzo di una grande griglia di tronchi, detta restèl, che sbarrava il corso del fiume proprio in corrispondenza della vetreria al Basso Arnò.

AF: Se non vado errato, il Venini fu un fervente patriota ...

Certamente, ed uno dei più attivi. Nel 1848 allo scoppio della Prima Guerra d'Indipendenza, Venini fu tra i primi ad arruolarsi nei Corpi Franchi riparando a Milano con molti dei suoi dipendenti, dove con Nepomuceno Bolognini fu tra i fondatori della Legione Trentina ed uno dei principali organizzatori, tanto che alla fine, nel 1848 fu inserito tra gli inquisiti per il delitto d'alto tradimento.

AF: La partecipazione attiva alla prima guerra d'indipendenza non gli portò gravi conseguenze?

EL: Fortunatamente no, Ferdinando I° Imperatore d'Austria rinunciò pubblicamente a prendere qualsiasi provvedimento politico contro gli emigrati e s'impegnò a concedere il perdono ai disertori e agli impiegati che avevano abbandonato il loro posto, così Venini e Bolognini tornarono in Trentino e ripresero le loro attività.
Trascorsa la burrasca indipendentista, Giuseppe Venini riprese il lavoro con rinnovato entusiasmo e pochi anni dopo, nel 1852, l'arrivo di nuovi capitali gli permise di ingrandire il complesso industriale , ponendo particolare attenzione al problema energetico, poiché aveva intuito che, a quel ritmo di disboscamento, anche le smisurate foreste giudicariesi, che fino a pochi anni prima sembravano inesauribili, sarebbero state ben presto inesorabilmente depauperate.
Si dedicò quindi alla ricerca di valide alternative energetiche che potessero sostituire, o quantomeno ridurre, la legna da ardere per i forni ed in questo contesto ideò un originale processo di distillazione del combustibile vegetale nelle storte, per ottenere un gas che, con il suo ben più alto potere calorifico, consentisse una fusione del vetro più veloce ed economica, rendendo il prodotto più puro. I residui della distillazione potevano poi essere utilizzati per altri scopi industriali e costituire un'ulteriore fonte di ricavo. La geniale intuizione, almeno in via sperimentale, fu presto attuata, nonostante alcuni contrattempi d'ordine pratico che ne rallentarono l'applicazione produttiva, ma dopo alcune modifiche tecniche e un'oculata revisione del protocollo d'applicazione procedurale, i nuovi forni a gas ricevettero il privilegio governativo ed entrarono in funzione a pieno regime.

vetriera Venini

AF: Ma l'invenzione del forno a gas non è di Siemens?

EL: Secondo Guido Boni, eclettico e preziosissimo raccoglitore, conservatore e divulgatore di dati, fatti e notizie giudicariesi, fu l'ingegnere tedesco Friedrich Siemens, professore di fisica e proprietario di vetrerie in Germania che, su basi ana¬loghe a quelle del Venini, ideò il procedimento che porta il suo nome e che, brevettato nel 1861, venne in seguito introdotto in tutte le vetrerie italiane, comprese quelle delle Giudicarie, ma dai dati fin qui raccolti, appare chiaro che nello stabilimento di Tione, questi forni erano già in funzione prima del 1854, con ogni probabilità, realizzati con i capitali entrati a seguito della ristrutturazione societaria del 1852.
La stessa ragione sociale, riportante la dicitura "privilegiato" denotava la presenza nello stabilimento di un procedimento di fabbricazione che aveva ricevuto questo riconoscimento governativo, pressappoco corrispondente a quello che oggi si definisce un brevetto. Già nel 1854 quindi nello stabilimento di Tione funzionavano le storte che distillavano il combustibile per produrre gas da inviare nei forni e questo combustibile non era solamente legna, ma anche, in primis, la torba di Fiavè e, in un secondo tempo, quella scavata alle Sole sopra Tione.
Alla luce di quanto messo in evidenza sembra ormai chiaro che la paternità dell'invenzione sia proprio da attribuire al Venini anche perché lui stesso, in occasione della successiva esposizione di Trento del 1857, dichiarava che i suoi vetri venivano prodotti col metodo privilegiato a gas, fatto confermato anche da Carlo Perini che, in un suo articolo apparso sulla Gazzetta di Trento, affermava che i nuovi forni a gas per la fusione del vetro nell'I.R. Fabbrica di vetri di Tione erano un'invenzione privilegiata del sig. ingegnere Giuseppe Venini.

AF: Allora la fabbrica di Tione era nel suo periodo migliore ...

EL: Gli anni tra il 1853 ed il 1859 furono i migliori per il grande stabilimento di Tione. Si attivarono due forni funzionanti con gas prodotto in apposite grandi storte di materiale refrattario, nelle quali il combustibile, riscaldato ad elevata temperatura, per distillazione, generava gas infiammabile impiegato, sia per i forni, sia per riscaldare le stesse storte e questo impianto doveva essere veramente innovativo se attirò la curiosità degli stessi vetrai muranesi che vennero a visitarlo in varie occasioni.
L'espansione della superficie lavorativa, unita ai metodi di produzione senz'altro all'avanguardia, fece diventare la vetreria di Tione la maggiore tra le tre operanti in zona. Infatti, la Tramontani-Fasoli-Garuti in Val d'Algone, la Pernici-Bolognini a Carisolo e la Venini di Tione erano le uniche fabbriche di vetri in tutto il Tirolo meridionale e quest'ultima era senz'altro la più imponente tanto che, tra maestranze ed indotto, occupava quasi mille persone.
Il forno principale aveva dieci bocche alle quali lavoravano tredici maestri vetrai, dodici operai cavavetro, tredici facchini, un fonditore, quattro assistenti alla fusione, un crogiuolista ed un formalista. Oltre a questi vi erano un'ottantina di operai comuni. Al forno, cosiddetto spianatorio, cioè alla spianatura dei cilindri di vetro per formare le lastre, erano addetti sei spianatori, sei portantini e tre facchini.
A fianco del forno a lastre c'erano due forni a bottiglie, ciascuno con otto bocche alle quali erano addetti otto maestri bottiglieri, otto grangarçon, otto cavavetri, sedici portantini, due rangiadori, un fonditore e quattro assistenti alla fusione. A questi, per le operazioni di manovalanza, si affiancavano, in totale, altri ottanta operai comuni.

AF: Quali erano i prodotti dello stabilimento?

EL: Nella fabbrica di Tione si producevano in maggior parte lastre da finestra in vetro bianco e bottiglie di vetro verde scuro, ma anche apprezzate campane di cristallo, tazze e bicchieri. Si lavorava giorno e notte perché le fornaci non potevano essere spente che alla fine della stagione lavorativa quando, d'estate, si doveva porre mano alle riparazioni e si doveva sostituire il materiale refrattario che ormai aveva esaurito le proprie caratteristiche.

Veduta del Basso Arnò nei primi decenni del Novecento Archivio Lappi

AF: Come si comportò Venini nella seconda guerra d'indipendenza?

EL: Nel 1859, riprese le ostilità tra Austria e Regno di Sardegna, i patrioti trentini, specialmente quelli già compromessi nel 1848-'49, non si sentirono certo sicuri e, nonostante divieti e serratissimi controlli, gran parte di essi varcò clandestinamente il confine. Bolognini fu tra i primi ad accorrere al fianco delle truppe di Vittorio Emanuele II e Venini non gli fu da meno, anche in considerazione del fatto che la gendarmeria austriaca aveva ripreso a controllare chiunque entrasse o uscisse dalla vetreria di Tione considerandola covo di irredentisti, così, per non pagare con la deportazione il suo mai celato patriottismo, l'industriale milanese abbandonò il Trentino riparando nella sua città.
Da questo momento, almeno ufficialmente, Giuseppe Venini scomparve da Tione ed in tutti gli atti inerenti agli affari della vetreria si fece rappresentare dal suo procuratore, rappresentante ed agente Domenico Pedri. La sua forzata assenza, unita a vari elementi congiunturali negativi, fece sì che lo sforzo economico per la riconversione energetica e per l'ammodernamento degli impianti, non rendesse secondo le previsioni tanto che, già nel febbraio del 1860 la fabbrica si trovò in difficoltà finanziarie.
Nel frattempo, in società era entrato l'imprenditore veneziano Luigi Bedolo di Adria portando consistenti risorse economiche. Ben presto fu incaricato di sostituire l'assente titolare assumendo le funzioni di socio gerente e rappresentante la ditta Giuseppe Venini e Compagni, mentre alla direzione dello stabilimento vetrario fu confermato Domenico Pedri.
In questo periodo, grazie anche all'apporto del nuovo socio, la vetreria continuò a funzionare egregiamente. Proseguirono le grosse fluitazioni e fu costruito un nuovo sbarramento sulla Sarca a S. Giovanni di Saone, realizzato per recuperare i tronchi che superavano quello esistente all'altezza della vetreria, si allargò la torbiera delle Sole e si costruì una nuova rassica alla Plazza di Brenta sotto S. Antonio di Mavignola.
Dal momento che non risultava suddito austriaco, il Venini non fu sottoposto ai provvedimenti presi nei confronti di Bolognini, Ricci, Gazzoletti, Ciolli, Manci e compagni, ma gli fu presto chiaro che nel Trentino la vita per lui sarebbe stata troppo rischiosa e che, non essendo egli del posto, nessuno avrebbe potuto rimproverargli una ritirata, così, tra la fine del 1863 e l'inizio del 1864, si risolse di cedere la sua vetreria che dal punto di vista industriale, per suo merito, era divenuta il vanto delle Giudicarie.
Il coraggioso ingegnere, per un buon ventennio esponente di spicco dell'intraprendente borghesia liberale di Tione che ben sapeva coniugare i propri ideali indipendentistici con uno spiccato fiuto per gli affari, passò la mano e si ritirò definitivamente nella propria terra d'origine.

AF: La fabbrica di Tione cessò allora l'attività?

EL: No. Il grande opificio del Basso Arnò cambiò ragione sociale che divenne "Ditta Luigi Bedolo e Compagni", in tutto e per tutto, rappresentata dal socio maggioritario Luigi Bedolo.
L'imprenditore veneziano proseguì fattivamente sulla strada indicata dal suo predecessore, mantenendo su livelli soddisfacenti sia la produzione che la redditività e ampliando lo stabilimento con la costruzione di altri due forni in aggiunta agli altri due della precedente gestione.
Ma dopo il 1866, con l'annessione del Veneto all'Italia nella terza guerra d'indipendenza, il grande complesso vetrario entrò in sofferenza per le gravi difficoltà di mercato, trasporti, dazio e logistica che avevano messo in ginocchio anche le altre vetrerie trentine e la produzione andò gradualmente riducendosi tanto che nel 1870 era in funzione un solo forno e per i soli quattro mesi estivi.
Bedolo allora impiantò un nuovo grande stabilimento per la fabbrica di bottiglie a S. Giovanni Lupatoto nel veronese e nel marzo 1871, chiuse la vetreria di Tione. Gli operai furono così costretti a cercare nuovi posti di lavoro e, mentre una parte tornarono ai loro luoghi d'origine, i vetrai locali emigrarono nel Regno d'Italia a Milano, Porto Valtravaglia, Poggio Mirteto, Torino, Napoli, Savona, Garessio nel Cuneese, Colle Val d'Elsa, Pisa, Imola, Livorno, Asti ed Acqui ed in seguito a questa migrazione molte famiglie giudicariesi risultano ancor oggi insediate in questi luoghi.